di Riccardo De Benedetti
Il caso serio della filosofia può ben essere questo: se si azzarda a parlare della “scienza”, una volta il suo cortile di casa, subito le viene ricordato che trattasi ormai di ampio, confortevole e alto palazzo. Che i suoi risultati fossero inoppugnabili e a volte no, cioè discutibili, è perché qualcuno li convocò di fronte al “tribunale della ragione”, come una volta si portò la regina di Francia in carretta al patibolo. Oggi non è più possibile. Oggi il risultato operativo, applicato, della scienza, una volta qualcosa di diverso dalla scienza stessa, produce un blocco unico e coeso di teoria e prassi; di ipotesi e verifiche, il tutto sotto il regno della matematica. La quale a sua volta, come scrive Paolo Zellini nel suo splendido Il teorema di Pitagora (2023 Adelphi) si è prefissa lo scopo di studiare le proprietà generali e astratte degli enti matematici per permettere loro di rispondere adeguatamente alla domanda essenziale del XX e XXI sec.: “che cosa può e che cosa non può essere automatizzato”?
Oggi non è più il tempo, si dice, di porsi troppe domande sull’automazione. Essa è un fatto, un dato di partenza e lo strumento fondamentale per cancellare una volta per tutte la cosiddetta “maledizione biblica” della fatica, del lavoro, della procreazione, del peso del vivere. Cosa volete che sia la disoccupazione dei molti, oggi, quando il resto, a breve, basta non ostacolarci, vivrà in un eterno e derisorio paradiso ozioso? Quando l’umanità tutta non avrà nulla a che vedere con la sofferenza e i dolori del parto?
La modernità accusa la religione tradizionale – oggi questo aggettivo è necessario per indicare che c’è, anche, se non prevalente, una religione che non si affida più al proprio inizio ma solo a un itinere non più suo – di aver distolto, attraverso il mito imbecille dell’aldilà, gli occhi dell’uomo dal suo presente, migliorabile all’infinito, non più sacrificabile al futuro, ma saldamente piantato sul presente. L’aldilà oggi è qui. Deve essere qui, ad ogni costo. L’uomo deve essere eternizzato nel proprio presente e solo in quello. La ragione diventa essa stessa artificiale – ce lo illustra dettagliatamente il libro di Stefano Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale, Asterios 2023 –, si emancipa dal suo stesso intelletto, si distacca da ogni dimensione “umana troppo umana” per assumere i tratti di un potere illimitato, di un dominio senza confini, esercitato senza alcun controllo che non sia quello che proviene direttamente dalle black box nelle quali si infilano i dati di input e fuoriescono i dati di output senza che si possano osservare all’interno della scatola cosa succede.
Era il 1956, quando John McCarthy, informatico cognitivista, allievo di von Neumann, presentò alla Rockefeller Foundation una richiesta di fondi per uno studio che “procederà sulla base della congettura che ogni aspetto dell’apprendimento o di qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza può essere descritto in linea di principio in modo così preciso da poter essere simulato da una macchina”. Due le cose importanti: “ogni aspetto” dell’intelligenza può essere simulato dalla macchina, nessuno escluso; “in linea di principio”, c’era ancora uno scarto tra principio, diritto e fatto. Ciò che nel 1959 era ancora in linea di principio oggi è già diventato “in linea di diritto” e si appresta ad essere solo un “fatto”. Ma cosa? La simulazione.
Volevo esporre una mia riflessione in merito all’argoment: c’è, riguardo la demenza artificiale, una retorica, un discorrere e un proporre ancora più artificioso della stessa. Una prosopopea pomposa e stucchevole, che vuol far apparire come stupefacente ciò che è sin troppo banale, come onniscente, ciò che invece è ignorante sotto ogni aspetto, come innovativo e inutile, ciò che è uno stupido orpello. Oramai le parole “tecnologia” o “demenza artificiale”, vengono usate per spacciare qualsiasi idiozia. Perché le si vuole imporre, perché il proposito di azzerare l’inventiva umana e soppiantarla con il piattume e pattume tecnologico e un uomo senza inventiva è facilmente malleabile e sottimettibile. Trovo stucchevole non tanto chi propone questi risibili artifici ( ne hanno un ritorno), ma quelli che si esaltano e si compiacciono. Non c’è mistificazione e falsificazione più grande e mai forse c’è stata nella storia dell’uomo. O quel che resta, dell’uomo.