“Relax”, said the night man / “We are programmed to receive / You can check out any time you like / But you can never leave” – Hotel California, Eagles

Si avvicina la nuova guerra civile degli Stati Uniti? Partirà da Eagle Pass dove pare concentrarsi tutta la tensione accumulatasi nel corso di questi decenni di vita politica americana? Almeno agli occhi di osservatori di quarta quinta fila come siamo. Sì o no? Né sì né no. Comunque vadano le cose – cose di cui non possiamo che essere osservatori, per quanto interessati – la proiezione all’esterno degli Stati Uniti di ciò che accade al suo interno è inevitabile. E già dichiarare l’inevitabilità delle conseguenze è una coimplicazione che merita un tentativo di comprensione.
Uno degli aspetti è quello relativo alla tenuta della struttura federalista degli USA. Una sua crisi, grave, implica una crisi del potere. La forma federalista è rivelativa, più delle crisi dei sistemi accentrati, della vera natura del potere di governo e della sua amministrazione. Spezzettando le funzioni amministrative e ricomponendole in una o più strutture variabili evidenzia ai governati la natura di ciò che sovrasta la vita dei singoli imponendo loro norme e vincoli. La posta in gioco del potere e del suo esercizio. Il federalismo americano è nato all’interno di una visione, se vogliamo, anti-rivoluzionaria: si trattava di mitigare il potere non di stravolgerlo o di impostarlo su basi diverse. Il Texas rivendica nei confronti di Biden la necessità di difendere adeguatamente i confini dell’unione. Per tutta risposta Biden vuole prendere il pieno comando della Guardia nazionale. Non è quindi in atto alcuna rivoluzione quanto una classica protesta contro gli abusi del potere, che è poi la cifra costitutiva stessa della nascita degli USA.
Cosa implica, allora, questa crisi, tutto sommato fisiologica all’interno della distribuzione federalista dei poteri? Implica il suo innestarsi nella più grande crisi in atto negli USA, con il terrificante disordine della politica estera, con la sua incapacità di visione strategica; con la crisi di un potere imperiale che mal si concilia con la struttura federalista interna da cui proviene. Osservazione che gli esperti potrebbero trovare interessante se solo pensassero al contrasto/dissidio/contraddizione che esiste tra la forma interna degli USA e la loro proiezione esterna, costituita dall’esercizio di un potere che si avvale di ogni strumento per garantire influenza, risorse economiche, energia e tutta la strumentazione dello sfruttamento dei territori che ben conosciamo. Il potere imperiale americano non ha nulla dell’articolazione federale del potere interno. Il processo, alimentato dalla globalizzazione – diretta e alimentata dalle grandi corporation multinazionali senza tenere in alcun conto gli ancoraggi territoriali della loro operatività – ha costretto lo stato federale a una rincorsa affannosa fatta di adeguamenti alla situazione di fatto senza alcuna garanzia di poterlo, o di volerlo, governare.
Ora questa proiezione esterna ritorna all’interno e ne amplifica le difficoltà. Il rischio è quello della spirale incontrollata. Legare, come hanno chiesto i repubblicani, i finanziamenti all’Ucraina alla soluzione della crisi ai confini del Messico, di fatto ha stretto in un unico gioco ciò che prima era abbastanza slegato e che ancora permetteva l’esercizio di una certa autonomia tra i diversi attori.
È questo il punto che rende Eagle Pass uno snodo importante della situazione mondiale: non voluto, non cercato, eppure drammaticamente incombente. “Puoi lasciare l’Hotel tutte le volte che vuoi ma non potrai mai abbandonarci”.

Riccardo De Benedetti

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