ELIO PAOLONI: A oriente si è costretti alla tecnologia ma la direzione politica fa di tutto per evitare che i cittadini siano abbandonati ad essa. Non dobbiamo insomma fare di ogni erba un fascio.
RICCARDO DE BENEDETTI: Non va data, della tecnologia, una lettura semplificata, quasi che non ci fossero stati Baudrillard e Anders: non si coglierebbe il concetto di “vergogna prometeica”, non si concepirebbe il “ritardo” etico rispetto alle tecniche e il loro peso deterministico.
I cinesi vivono ancora nello stupor mundi tecnologico, lo usano come bambini che si riserveranno il diritto o il ghiribizzo di tornare indietro quando e come lo vorranno… ma non è così.
La Cina, non comprendendo Platone, anzi essendo del tutto aplatonica, non conosce la dimensione di nuda potenza della tecnica e la considera ancora al servizio di qualcosa e di qualcuno che la possa dirigere, quando la logica stessa della sua evoluzione e crescita non tollera alcun limite esterno, non produce limiti.
ELIO PAOLONI: Ecco, peso deterministico. Perché noi, che ci beffiamo del determinismo, dobbiamo contemplarlo in questo caso? Non minimizzo certo pervasività e derive ma mi rifiuto di pensare che non possa essere controllata. Apprezzo le considerazioni di molti pensatori a riguardo come suggestioni, paradossi, scenari. Non come vangelo.
RICCARDO DE BENEDETTI: Noi ben la potremo beffare… il guaio è che è la tecnica che non ama prendersi beffa di sé stessa… anzi si prende molto sul serio. Per questo è deterministica e non potrebbe che esserlo. La fisica quantistica non è deterministica ma i suoi prodotti sì. Esattamente come la relatività di Einstein funziona benissimo alla scala dei fenomeni che descrive ma nel mondo sublunare viviamo in un mondo newtoniano.
ELIO PAOLONI: Mi fa pensare la considerazione su Platone. Perché dici che è aplatonica? Ti riferisci al confucianesimo di fondo? Perché, come spesso abbiamo detto, della Cina non si sa niente.
STEFANO SERAFINI: La mia ignoranza sulla Cina non mi permette di interloquire. Che non si possa tornare a un prima della tecnica (mi viene da pensare al materia signata quantitate, perché forse anche la biologia, e la fisica sono techné) lo capisco. Che davanti non vi sia altro non lo so.
RICCARDO DE BENEDETTI: Seguo il grande lavoro di François Jullien sul tema L’invenzione dell’ideale e il destino dell’Europa ovvero Platone letto dalla Cina (Medusa Edizioni). Non c’è Platone in Cina, non c’è l’ideale, non c’è il sovramondo. A un certo punto Jullien cita Xunzi, un saggio della fine dell’antichità cinese: “Invece di immischiarsi in ciò per cui le cose vengono al mondo, non è meglio aiutare quelle che ci sono a conseguire il loro pieno sviluppo?”. Non c’è forse frase migliore per testimoniare la naturale e millenaria acquiescenza a tutto ciò che si presenta come cosa nel mondo. La Cina non persegue la scoperta dell’essenza della cosa, ma cerca solo di individuare il suo movimento sotto il Cielo.
L’occidente le ha portato la tecnica… “questa” tecnica, prodotto della ricerca dell’essenza delle cose, platonismo in purezza.
ELIO PAOLONI: Non so, “conseguire il pieno sviluppo di quello che c’è” è già occuparsi della tecnica, mi sembra. La ricerca dell’essenza delle cose è filosofia (o scienza, confini labili).
GIANLUCA RINALDI: Comunque dire che la Cina non ha un senso dell’assoluto è sbagliatissimo. Lasciamo perdere ciò che noi vediamo come “Cina moderna”: in Oriente (e le Arti Marziali come altre discipline lo mostrano BENISSIMO se le si sa guardare) si è mantenuto MOLTO più che qua il contatto con l’antico, e i frutti odierni per quanto marci HANNO ANCORA l’ancoraggio alla radice, quindi basta si puliscano e/o cadano perché la pianta dia frutti buoni.
Qua con la modernità, e soprattutto la POSTmodernità della rivoluzione industriale, si è VOLUTO recidere tutto credendo che la tecnologia e il progresso fossero una pianta a sé e che potessero dare qualcosa di buono di per sé stessi, cosa che come ben si vede è pura follia, anzi quanto di più luciferino esista.
Quello per cui noi diciamo che ”la Cina non conosce l’ Assoluto” è che arrogantemente pensiamo che l’Assoluto sia il nostro, quando il platonismo è UNA VISIONE di esso, non esso stesso. Semplicemente il modo Cinese di approcciare all’Assoluto è legato alla Sua parte IMPERSONALE e distante, per certi versi molto simile ad alcuni approcci giudaico/islamici che vedono Dio distantissimo e sostanzialmente irraggiungibile e tremendo, approccio enormemente intellettuale.
La parte “personalistica e sentimentale” però esiste, ed è stata sostanzialmente voluta dalla parte guerriera di quei popoli (è il Guerriero ad essere sentimentale, il Sacerdote non lo è).
Poi essendo però i cinesi sostanzialmente Mercanti, va pensato che questo sostrato spirituale, buddistico o taoistico che sia, si inserisce nell’approccio Mercantile che è quello PRATICO E CONCRETO, quindi quello che si vede è quest’ultimo.
MASSIMILIANO PERONI: Non penso però che Riccardo-Jullien abbia detto che in Cina non concepiscono l’Assoluto. È che, tradizionalmente, lo concepiscono in maniera molto diversa dalla nostra. L’impersonalità del Tao, per altro, è difficilmente paragonabile alla vertiginosa trascendenza mistica di alcune correnti monoteistiche. È proprio una cosa a sé. Filosoficamente parlando, è una trascendenza immanente (paradossale, non a caso, per le categorie occidentali) che “noi” abbiamo “scoperto” davvero (e solo in parte e a prezzo di varie contorsioni linguistico-concettuali) giusto con certa filosofia del ‘900, ad esempio in Heidegger e Merleau-Ponty.