Poor Things, il nuovo film di Yorgos Lanthimos, ha ricevuto una strana accoglienza, almeno in Italia, quantomeno sui social network, rivelando l’occorrenza d’una diffusa, perniciosa refrattarietà a trattare l’arte come tale, da parte del pubblico nostrano contemporaneo, in specie quello intellettuale e impegnato, colto o semi-colto.
Il film, di per sé, è una vivida fantasmagoria, dall’umorismo grottesco, con un gusto tutto post-moderno1 per la parodia, la citazione e il pastiche, costellata da scenari sontuosamente steampunk.
Data la particolarità dell’operazione, non sarebbe proprio possibile considerare un presunto contenuto a prescindere dalla sua forma, poiché la forma ne determina il tono fondamentale, il ritmo e in ultima analisi il senso stesso: la vicenda della protagonista Bella non è sic et simpliciter una favola filosofica alla Candido, dove l’ironia e la satira siano soltanto ancelle d’una tesi precostituita, al servizio d’una storia didascalica. Qui in primo piano sta un’estetica del non-serio, trasgressiva e irriverente, bizzarra e assurda, multipla ed eccessiva, che manipola con gioia, indefinitamente, i suoi materiali – per ricavarne un significato ch’è godimento e divertimento, in primis sensoriale, visivo & visionario (ma anche acustico-uditivo-musicale, si pensi alle stupende dissonanze che accompagnano alcune scene).
D’altronde, questa poetica generale è coerentemente un tutt’uno con la sua protagonista e la sua intera esistenza. Opera e personaggio si rispecchiano: sono due patchwork, due assemblaggi da fantascienza surreale, aperti a continue evoluzioni e ricombinazioni anche inaspettate. Bella è un essere unico e strambo, incompleto-e-aperto com’è il suo stesso mondo (ossia il mondo di questo film di Lanthimos).
Il suo, sì, è chiaramente (didascalicamente, però d’un didascalismo pervertito e divertito, cosa importantissima!) un tipico e assieme atipico Viaggio di formazione di Donna che attraversa varie schematiche fasi, dall’infantile all’adulta, confrontandosi con vari compagni/antagonisti maschili e così svelandone i limiti (il Padre-creatore-scienziato che le dà nuova vita ma vorrebbe tenerla reclusa in casa, il Promesso Sposo Timido ergo Codardo, il Seduttore fintamente anti-convenzionale scaduto a innamorato patetico poi pazzo vendicativo, il Cinico che nasconde un animo infantile, il Marito invero Violento), trovando per lo più complicità, magari solo momentanea e superficiale, in altre donne – scoprendo di volta in volta il Sesso, la Vastità & Varietà dei luoghi della Terra, la Filosofia, nonché la realtà del Dolore, della Miseria, del Male.
Tuttavia fare di tutto questo (come ho potuto constatare leggendo commenti, critiche, recensioni) l’ennesimo pamphlet femminista o meglio neo-femminista, implica appiccicare a una Bellezza Convulsa un messaggio ideologico, rigido, fuorviante, annichilente il film in quanto tale. Perché, alla fin fine, che bisogno ci sarebbe d’un simile profluvio d’immagini, d’un tal dispendio di fantasie – se si trattasse giusto di confermare un già-noto, orecchiabile ovunque oggidì? Dove sta l’Avventura, per lo spettatore, capace di meravigliarlo o metterlo in discussione – se il film non conduce un minimo Altrove rispetto al solito Continente della Banalità Contemporanea?
Viene subito in mente quel che Milan Kundera definiva come atteggiamento misomusico, ossia il testardo non saper-comprendere né voler-apprezzare, da parte di alcune persone, la dimensione estetica, violentando il testo di un libro o di un film, con le sue delicate sfumature e articolazioni peculiari, al fine di ridurlo a pretesto per discorsi moralistici, politicizzati, pseudo-filosofici, pseudo-religiosi, oppure (o anche) egocentrico-idiosincratici. Come se l’arte richiedesse sempre un supplemento d’anima, dovesse esser ogni volta nobilitata dalla sua frivola (o scandalosa) giocosità! Un vero e proprio nichilismo verso tutto ciò ch’è forma, opera, concreto lavoro artistico, sottile pensiero poetico.
Un identico discorso, ovviamente, vale anche per chi, sui social media, se la prende col film trattandolo da propaganda femminista, insomma per tutti gli anti e i contro, i dissidenti & dissenzienti verso il mainstream – ma che s-ragionano al medesimo modo del supposto Nemico, secondo stereotipi ideologici molto stupidi, mettendo in scena contrapposizioni troppo facili, tanto seriose quanto futili, rovesciando il preconfezionato Positivo altrui in altrettanto banale Negativo o viceversa.
Che povere creature, davvero, simili spettatori, commentatori, recensori, critici e cinefili!
Massimiliano Peroni
- Il film è tratto dal romanzo omonimo del 1992 di Alasdair Gray, scrittore scozzese, uno dei maggiori rappresentanti del postmodernismo letterario in lingua inglese (edizione italiana: Povere creature, Safarà, 2023). ↩︎