L’attenzione social di questi giorni è stata catturata dalla nuova edizione dei Quaderni di Simone Weil – volumi III e IV, e in particolare dalla citazione pubblicata sul profilo Facebook della casa editrice Adelphi.
Il trasversale giubilo ci mostra quanto sia sottovalutata la questione del linguaggio, nella sua duplice, mai sufficientemente investigata dimensione di pensiero e discorso orale. Scrive la filosofa francese:
«Tutti i nostri mali spirituali provengono dal Rinascimento, che ha tradito il cristianesimo per la Grecia, ma, avendo cercato nella Grecia qualcosa di diverso dal cristianesimo, non l’ha capita. La colpa è del cristianesimo che si è creduto altro dalla Grecia. Si porrà rimedio a questo male riconoscendo nel pensiero greco tutta la fede cristiana».
Pur nella stringatezza di un pensiero certamente più articolato, che non è mia intenzione qui passare in rassegna, per la Weil dunque, i pensatori del Rinascimento non avrebbero compreso né la Grecia né tantomeno il cristianesimo. Ma la colpa di tale involontario fraintendimento sarebbe da attribuirsi ai primi cristiani, cioè alla tradizione patristica alla quale la filosofa francese sembrerebbe alludere. I Padri della Chiesa, di cultura greca e pertanto naturaliter mediatori fra Atene e Gerusalemme (sant’Atanasio, san Basilio Magno, san Gregorio Nazianzeno, san Giovanni Crisostomo, san Gregorio di Nissa e Clemente Alessandrino), ma anche i romani sant’Ambrogio e sant’Agostino, a detta della Weil, non avrebbero compreso fino in fondo il messaggio del Nazareno che in definitiva sarebbe riducibile, per parafrasare Whitehead, a una nota a piè di pagina del platonismo.
Tutta la ricchezza spirituale della fede cristiana, le Beatitudini e il Credo niceno, i sette doni dello Spirito Santo e le virtù teologali, i sacramenti e i novissimi sarebbero estrinsecazioni pure e semplici del pensiero greco. Il Figlio di Dio si sarebbe pertanto incarnato e sarebbe vissuto trentatrè anni tra la Giudea e la Galilea, per poi essere crocifisso e risorgere senza apportare alcun valore aggiunto, anche in termini soteriologici, rispetto a quanto il pur raffinato pensiero greco aveva già espresso.
La questione indicata dalla filosofa francese ci mostra la complessità della questione da essa posta che procede da una mancata distinzione fra le scienze della natura, volte ad indagare il mondo (e i rinascimentali probabilmente si volgevano al pensiero greco in vista di saperi matematizzanti idonei a governare metodologicamente la rivoluzione scientifica del XVI secolo), le scienze dello spirito, idealisticamente orientate, e le scienze di quella parte dell’uomo che si fa custode del Verbo incarnato, cioè l’anima. Articolare correttamente questi ambiti del sapere linguistico, dopo le aporie del pensiero rinascimentale e forse anche di quello greco, costituisce il problema urgente della nostra condizione cosmoteandrica.
Paolo Ciccioli
Interessante prospettiva. Però, da lettore assiduo di Simone Weil, avrei alcuni rilievi critici o anche solo questioni da mettere sul tavolo d’una discussione comune.
È innegabile che la Weil arrivi, nella sua ricerca filosofica e spirituale, ad aderire a una versione del cristianesimo molto platonizzante (e a tratti pure gnosticheggiante), espunta di elementi ebraico-biblici (mai del tutto, in ogni caso, l’ebraismo d’appartenenza della pensatrice ritorna in maniera implicita o sottile, si veda la sua attenzione alla Giustizia qui e ora, nonché la sua riproposta della nozione, tipica di certa mistica ebraica, di tzimtzum o ‘contrazione di Dio’, alternativa a quella di Creazione).
Tuttavia, mi sembra esagerata e sbilanciata l’affermazione per cui, secondo lei, non vi sarebbe novità nel cristianesimo (anzi, nel Cristo!) che non fosse già stata detta dai Greci e in particolare da Platone! Non è forse stata, al contrario, l’esperienza estatica dell’Amore da lei vissuta intensamente e meditata profondamente – ad averla portata a ri-considerare il pensiero greco (e mica solo quello, ma circa tutto, anche il pensiero indiano, e le fiabe del folklore, la scienza stessa, ecc.) alla luce della Rivelazione?
Inoltre, a mio avviso, più che affermare che la Weil avrebbe rimproverato ai Padri della Chiesa di non aver capito la loro stessa Fede, bisognerebbe riconoscere che non li conosceva abbastanza. Questo uno dei suoi problemi principali, che la conduce appunto dalle parti di una sorta di cristianesimo che andrebbe a braccetto con perennialismo o sincretismo invece di esser riscoperta della solidità della Tradizione cattolica stessa. Difatti, diversi suoi scrupoli (che le hanno impedito di entrare nella Chiesa, sebbene dichiarasse di credere a dogmi e sacramenti!) sono palesemente dovuti a pure e semplici lacune e ignoranze specifiche, che la sua acuta (ma febbrile e impaziente!) intelligenza cerca di compensare come può, a volte mescolando intuizioni geniali e svarioni non da poco. Forse, se non fosse morta tanto giovane, sarebbe stato proprio lo studio dei Padri che avrebbe potuto ‘convertirla fino in fondo’, dato che essi sviluppano un’apologetica volta a unire/conciliare per davvero Rivelazione biblica e impostazione filosofica di derivazione greca!
Quanto al Rinascimento, in realtà la Weil ha non poche ragioni, posto che si comprenda la sua analisi e diagnosi storica, perché è con esso (prima che con il protestantesimo) che inizia quel processo di separazione e spesso contrapposizione tra Fede cattolica (e immaginario cristiano, che aveva già integrato in sé ampiamente, lungo il Medioevo, il mondo antico) e cultura secolare, cosa che ha condotto la modernità quindi l’attualità occidentale a scomporsi sempre più in posizioni parziali, incomplete, fragili e rabbiose (il cattolicesimo stesso è diventata una posizione tra le altre, con tutti i suoi limiti e difetti), mentre l’eredità integrale europea comprenderebbe, in teoria, Atene, Gerusalemme, Roma e anche i cosiddetti Barbari!
Giusto, di per sé, distinguere piani e discipline, ma siamo sicuri che non sia la specifica ‘sistemazione delle distinzioni’, ricevuta con la modernità a esser il problema, o la spia di problemi ancora tutti da indagare? Mi sembra quantomeno problematica, non a caso, l’operazione a fine articolo di assimilare tout court termini moderni quali idealismo e scienza della natura/scienze dello spirito alla tradizionale tripartizione corpo/anima/spirito. Al netto dei suoi errori particolari, forse andrebbe rivitalizzato il richiamo weiliano all’unità, o meglio alla sintesi e all’armonia dei differenti piani del sapere (e dell’esistenza), sotto il cielo della Verità, nella consapevolezza di una frattura di lungo corso, difficile da ricomporre.