“Chi ve lo fa fare?”
Forse è ciò che avrà domandato la guardia costiera all’equipaggio del Demeter, mentre stava per salpare, col mare in tempesta, verso le coste inglesi trasportando casse di terra, all’interno di una delle quali giaceva il Conte Dracula, redivivo e in attesa di fare una strage a bordo.
È anche ciò che ha domandato alla redazione qualche lettore sui social, dopo che abbiamo annunciato che ci saremmo occupati della kermesse festivaliera.
Il Festival di Sanremo è da un lato il mare da attraversare, impegnativo per tempi di visione e di consegna degli articoli, e per livelli di sopportazione del kitsch, ma termometro della cultura artistica (musicale, nello specifico) e degli umori del momento in Italia, sulla cui riflessione ogni sforzo è giustificabile, soprattutto lasciando che siano altri a fare gli snob.
Dall’altro lato è il mostro stesso, il non morto, decrepito nella concezione spettacolare e nel modello musicale che impone alla platea da settant’anni, ma che si ostina a camminare e a fagocitare tutto ciò che ha intorno al suo passaggio.
Il Festival di quest’anno, in particolare, sembra realmente ricalcare il tentativo del vampiro di tenersi vivo succhiando il sangue dei giovani. Pochi veterani in gara, la maggior parte dei concorrenti all’esordio o appartenenti alla sfera di ascolti dei Gen-Z. Il risultato si vede al primo ascolto: la generazione più conformista dell’ultimo secolo non poteva che mostrarsi per ciò che è.
In poche parole, si potrebbe dire che le canzoni di quest’anno si dividono in due tipi: quelle che fanno “para-para-pa-pa” e quelle che fanno “tàrata-tàrata-tàrata”. Parti cantate (?) in ottavi dritti e/o terzine larghe, gremite di parole, su intervalli che non superano la terza della stessa ottava. Batterie elettroniche che stanno passando gradualmente dal revival degli anni ’80 a quello degli anni ’90. Poca o niente orchestra. Piccola differenza di gender nel fatto che i maschi cantano dopo mielosi intro al pianoforte per poi continuare su brani simil rap in cui usare argomenti a favore della propria street credibility, mentre le donne cercano di replicare la formula vincente di Elodie: basi dance anni ’90 ed empowerment femminile sul bastare a sé stesse nei testi.
Ecco, nei testi scompare la classica tematica erotica sanremese, sostituita da canzoni egoriferite, sia autobiografiche che, appunto, di empowerment.
Escono dal canovaccio dei Tik Tok dipendenti quelli della vecchia guardia, anche se non molto in meglio. La Mannoia canta un brano che non avrebbe sfigurato nel repertorio della Bandabardò a una Notte della Taranta, ballato da zecche ubriache e vestite di patchwork di stracci. La Bertè ricicla il rock di Il mare d’inverno e Non sono una signora e va incontro a una facilissima standing ovation. Renga e Nek hanno deciso di ereditare il ruolo di Toto Cutugno di generatori casuali di vecchie canzoni sanremesi, e i Ricchi e Poveri si preparano a invadere radio e social con un tormentone che fungerà da psyop per i prossimi mesi.
C’è anche un “giovane”, Gazzelle, proveniente dalla scena indie romana, che nel suo brano cerca di rifare gli Oasis senza le chitarre distorte e la voce roca (quindi senza ciò che rendeva gli Oasis davvero divertenti), ma considerando che è un millennial, è grasso che cola.
Uniche performance positive quelle di Diodato e The Kolors.
Il primo è anche autore della propria canzone, e si sente (la maggior parte degli altri brani è scritta dalle stesse quattro/cinque persone): unico brano in gara in 6/8, ha melodie vocali costruite su tensioni e risoluzioni da manuale, soluzioni di arrangiamento non scontate, e ovviamente una eccellente prestazione vocale.
I The Kolors, sebbene artisticamente l’ombra di loro stessi, continuano a essere musicisti di enorme talento, tra i pochissimi italiani a poter reggere il confronto con omologhi internazionali (ben altra cosa rispetto ai gonfiatissimi Maneskin). Il loro è un brano dance funk tiratissimo, con parti strumentali difficili e un orecchio per i ritornelli che in Italia (e non solo) non ha quasi nessuno nato dopo il ’75.
Vedremo nei prossimi giorni come procederà la traversata, sempre che il non morto non si risvegli e decida di sbranarci.