La puntuale rassegna della kermesse della canzone italiana curata nel Diario del Demeter, e pubblicata il 9 febbraio su Sparagmós mi ha ispirato una breve riflessione. Ho trovato particolarmente intelligente e arguta la comparazione musicale suggerita da Dario Biagiotti, fra paesi di cultura cattolica e paesi plasmati dalla riforma protestante. In questi ultimi infatti la componente musicale ha sempre avuto, e ha tutt’oggi, un ruolo fondamentale dal punto di vista liturgico. Vi basterà entrare in una chiesa tedesca, anche cattolica. Pareti desolatamente spoglie e prive di raffigurazioni sacre, ma una grande diffusione in ogni piccola città e villaggio, di cori e musicisti professionisti che davvero eccellono nel loro ambito. Tutti peraltro ben pagati con la Kirchensteuer, vera e propria imposta che ogni cittadino e domiciliato in Germania è tenuto a corrispondere dopo aver denunciato la propria confessione religiosa per poter accedere così alla partecipazione al Gottendiest. Basti ricordare esemplificativamente il caso di Luca Toni, cattolico nonché bomber del Bayern Monaco fra il 2007 e il 2010, che è stato condannato dalla giustizia tedesca a corrispondere 1,7 milioni di euro alla chiesa nazionale.
Qui in Italia, dove vige il ben più leggero regime contributivo, e soprattutto volontario, dell’8×1000, e in generale in tutti i paesi cattolici, l’esperienza religiosa è stata contrassegnata – specialmente fino al Concilio Vaticano II quando fu liberalizzata e promossa la conoscenza della Bibbia e della Liturgia della ore, dalla fruizione delle immagini sacre che ancora oggi vengono giustamente ammirate in tutto il mondo. Vera e propria fonte di alfabetizzazione teologica per una società che, mercé l’ostilità verso la galassia Gutenberg, era a forte maggioranza costituita da analfabeti. Specialmente dopo il celebrato Rinascimento, la raffigurazione sacra avrebbe acquisito grazie alla scoperta della prospettiva un accento marcatamente teatrale. Specie chi guardava ex oriente, come il Pavel Florenskij de La prospettiva rovesciata ed altri scritti sul’arte (Gangemi, 1990) abituato alla solenne immutabilità delle icone sacre, scorgeva nei nostri Leonardo, Raffaello e Tiziano un carattere stucchevole, appariscente e per l’appunto teatrale, ai limiti del blasfemo, che in qualche modo avrebbe prefigurato l’emergere e l’imporsi del melodramma come genere, il cui apice espressivo sarà raggiunto nel XIX secolo. Una parabola eminentemente russa quella inaugurata da Florenskij, che troverà due degni eredi in Nikolaj Berdjaev e Sergej Bulgakov, critici di un’arte figurativa ormai non più solo occidentale ma planetaria, e al contempo pensatori della crisi, le cui riflessioni sono raccolte ne Il cadavere della bellezza. La crisi dell’arte (Medusa edizioni, 2012).
All’incrocio fra il “sentire” cattolico, protestante e ortodosso, potrebbe essere questa dunque, la ragione che ci distingue nelle reciproche e ormai ingovernabili – ça va sans dire – prospettive liturgiche e culturali. Nei paesi di religione protestante, occorre ammetterlo, seppure nelle forme spesso devianti o apertamente nichilistiche contemporanee, la musica di derivazione rhythm’n’blues (cioè tutta la musica contemporanea popolare non classica) può esprimere una maggiore qualità e gode di un maggior favore nella società, come può testimoniare qualsiasi “italiano a Londra”. Certo, sarebbe opportuno interrogarsi ulteriormente sul perché tale corrente musicale interessi maggiormente i paesi anglofoni rispetto a quelli di lingua tedesca. La maggior durezza e la presunta minore musicalità di questa lingua non credo spieghi fino in fondo la peculiarità dell’eccezione germanica. A dimostrazione del clivage paesi protestanti/paesi cattolici indicata da Dario Biagiotti, la musica classica trova qui ancora la sua patria indiscussa. Forse l’incapacità di aggiornare tale tradizione e di reggere il passo con i cugini angloamericani, se si eccettua la felice me breve stagione del krautrock, è da rintracciarsi più ancora nel trauma rappresentato, per la loro grammatica musicale, dalla dodecafonia di Schönberg. Una sorta di dolorosa eco degli orrori della prima guerra mondiale e della sua continuazione verificatasi due decenni dopo, che non è stata ancora lenita.