Il doppio standard che molti, giustamente, rimproverano all’occidente è una forma dell’ipocrisia. Per altro la stessa ipocrisia è posizione morale che andrebbe approfondita nella sua struttura più intima. Per nulla inedita o poco frequentata dalla storia. Al contrario, è il fil rouge stesso della storia. Niente di nuovo, quindi in questa accusa e, quindi, sostanzialmente inutile.


L’ipocrisia è, infatti, simile al ricordo di copertura freudiano: si copre il trauma con una formazione simbolica che lo nasconde senza cancellarlo, che lo dice senza nominarlo e alla fine potrebbe anche curarlo se venisse riconosciuta il suo appartenere alla farmacologia lenitiva. Il trauma è quello della realtà. È l’insulto, la ferita che il reale infligge alla pretesa di controllo e gestione dello stesso da parte dell’uomo. La politica è la forma, sempre diversa, che assume questo tentativo di controllo. E non è detto che chi accusa l’altro di ipocrisia non ne sia, a sua volta, ben più affetto, anzi…


I neocon, per esempio. La lezione di Leo Strauss è abbastanza chiara e poi non così sottile e sofisticata come potrebbe apparire a prima vista. La menzogna è necessaria. L’uso spregiudicato di tutto ciò che serve a consolidare le procedure del potere, in mano necessariamente e storicamente alle élite, non solo è raccomandato ma obbligato da parte del Principe. Non sfugge nulla a questo utilizzo. La menzogna è uno strumento legittimo nell’esercizio del potere perché è il potere stesso a determinare ciò che è necessario alla vita e alla libertà dei cittadini, per la semplice ragione che sono loro stessi a chiederlo. Ogni richiesta, ogni rivendicazione è un modo di dire “fai così e non cosà”, “io faccio meglio di te… vattene”, in un moltiplicarsi infinito di scontri, lacerazioni e ricomposizioni temporanee che non lasciano mai requie; in cui l’equilibrio oggi raggiunto sarà il fomite dello strappo di domani e la giustizia equa è la necessaria premessa dell’ingiustizia intollerabile di domani.
Leo Strauss non concepisce altra dimensione al politico se non quella di mettere in forma ciò che di per sé non ne avrebbe. In questa prospettiva la democrazia è una verità finzionale di rara potenza, è uno degli strumenti che vanno usati per ottenere l’efficacia del potere. Così come si potrebbero usare, se del caso, quelli del Tiranno: non vi è alcuna distinzione “morale” tra i due, neppure una preferibilità tecnica.

Leo Strauss, e soprattutto i suoi seguaci, non a caso per lo più provenienti dalla sinistra trotckista statunitense, non si pongono il problema della “verità” dei processi politici e la loro adesione a questa o quella tradizione, a questa o a quella soluzione delle disparità o delle diseguaglianze sociali o di potere. Il potere, al quale dopo queste considerazioni va attribuito il nome di Potenza, deve essere libero di esercitarsi perché attinge la sua “legittimità” non dal basso ma dall’alto dell’ideale nel quale si radicano le forme dell’agire umano. È un platonismo implicito quello che ispira Leo Strauss. L’ambiente nel quale questo pensiero si esprime e si articola, senza per questo dar luogo a nessuna dialettica, è quello “liberale”.

È il liberalismo democratico, antico e moderno, a disporre e creare l’ambiente più consono a questo esercizio di dominio dell’ideale “democratico”. Alla base lo scetticismo radicale circa la possibilità del “popolo” di definire autonomamente ciò che meglio servirebbe al proprio benessere e alla propria esistenza. So che state celiando quando considerate la chiamata alle urne come piena espressione democratica… vero?


I neocon sanno benissimo che dopo la distruzione nietzscheana dei valori e di Dio – per altro quella di Nietzsche è poco più che una presa d’atto dello stato delle cose, non certo un’agire efficace – nulla più che il vuoto può riempire lo spazio e il tempo dell’umano. Sembra assai contraddittorio questo riempirsi di niente del nulla… eppure, guardiamoci intorno, gli oggetti, le macchine, i dispositivi di un’intenzionalità svuotata da ogni soggettività si sono moltiplicati fuori di ogni misura. Tutto è disponibile e nulla è più a disposizione di questo vuoto, di questa assenza. È ciò che ci riempie la giornata e le ore. È ciò a cui vorremmo porre fine se non fosse che così facendo porremmo fine alla nostra esistenza. Oggi.

Riccardo De Benedetti

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