«Un’aquila di un blu intenso, California, 1936» di Dorothea Lange

Il colono è sempre arrabbiato, perché il colono è sempre colpevole. Il colono è sempre violento, perché il colono ha sempre paura. Il colono è sempre arrabbiato e spaventato perché il colono non è mai a casa.

Da poco ho iniziato a trovare le parole per esprimere questo concetto, l’essere senza casa del colono; cioè il fatto che i nativi vedono e percepiscono i coloni come stranieri non soltanto perché essi sono fuori posto, ma perché i coloni stessi hanno di sé la medesima percezione.

Pensateci: ovunque un colono vada, qualunque cosa veda, annusi o assaggi, non gli appartiene mai, gli manca sempre quel certo elemento di naturalezza. Non fa parte della loro educazione, non fa parte della loro storia. Non fa parte del loro essere. Non è qualcosa di organico per loro; semmai è una condizione ingegnerizzata, come tutta la loro esistenza.

Qualunque cosa sostenga e nutra il nativo, per il colono diventa una minaccia che ne riflette l’estraneità: il cibo, la musica, il paesaggio, la flora e la fauna, i suoni e gli odori, tutto.

Qualunque cosa venga naturale al nativo richiede invece, dal colono, un grande sforzo: egli non capisce i codici e non li capirà mai. Non può starsene fermo.

Un colono non è un immigrato, un turista o un ospite: a loro differenza è costretto a trovare un significato per il suo soggiorno. Uno scopo più elevato, una chiamata più alta divengono necessari: che cos’altro, altrimenti, potrebbe spiegare la sua presenza lontano dalla casa di origine, nonché i mezzi violenti ai quali deve continuamente ricorrere per mantenerla?

Non siamo progettati per infliggere dolore e lesioni in cambio delle nostre comodità. Abbiamo bisogno di una storia che ci metta sotto una buona luce.

Ritengo che gran parte dell’ansia del mondo occidentale sia solo la latente e repressa condizione di senzacasa del colono. Perché il colonialismo non è solo prendere la casa di altre persone, è anche, e per sempre, rimanerne chiusi fuori.

Alon Mizrahi

Alon Mizrahi è uno scrittore e pensatore israeliano mizrahì (sefardita), cresciuto a Yokneam, in Galilea. Da bambino e adolescente ha studiato in varie scuole, inclusa una yeshivah, o scuola religiosa tradizionale, a Bnei Brak. Ha svolto molti mestieri e ha studiato lingua e letteratura inglese all’Università di Haifa. Il suo pensiero politico è debitore al trascendentalismo di Emerson, alla poetica di Whitman e alla biografia di Malcolm X. Nel 2020 ha pubblicato per l’editore Locus di Tel Aviv il suo primo saggio, Freedom: A Manifesto (Libertà: un manifesto). Alon gestisce il blog Eastern Oak (https://easternoak.co/).

Il presente testo, tradotto in italiano da Stefano Serafini per gentile concessione dell’Autore, è stato pubblicato in inglese sul suo blog il 10 febbraio 2024 (https://easternoak.co/colonizer-homelessness-1/).

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